brano tratto da Filosofia della composizione di E.A.Poe:
[…] Io preferisco cominciare studiando un effetto. Tenendo sempre d’occhio l’originalità (perché tradisce se stesso chi si azzarda a privarsi di una fonte di interesse tanto ovvia e tanto facile a raggiungersi), io mi dico, in primo luogo: “Degli innumerevoli effetti, o impressioni, di cui è suscettibile il cuore, o l’intelletto, o più genericamente la mente, quale mi conviene scegliere in questo caso?”. Una volta scelto un effetto che sia anzitutto inedito, e poi intenso, rifletto se possa meglio indurlo un episodio o un registro; se sia meglio introdurre episodi correnti e un registro, invece, singolare, o il contrario, o cercare una singolarità tanto dell’episodio quanto del registro. A questo punto mi guardo intorno, o meglio mi guardo dentro, cercando le combinazioni di episodi e di registro che meglio possano aiutarmi a costruire quell’effetto.Mi è capitato spesso di pensare quanto sarebbe interessante il saggio di uno scrittore che volesse (che sapesse, cioè) raccontare nei particolari, passo per passo, i processi attraverso i quali ha portato a termine un suo testo qualsiasi. Perché nessuno abbia mai dato alla luce un saggio del genere non riesco a capirlo. Probabilmente di questa omissione è responsabile, più di qualsiasi altra ragione, la vanità d’autore. La maggior parte degli scrittori, e in particolare i poeti, preferiscono dare a intendere di comporre in una sorta di splendida frenesia, o intuizione estatica. E rabbrividirebbero all’idea di lasciare che il pubblico sbirci, fra le quinte, le crudezze elaborate e vacillanti del pensiero; il senso acchiappato all’ultimo momento, le idee baluginate mille volte senza mai arrivare alla maturità della visione piena; le fantasie maturate invece appieno, ma scartate nella disperazione davanti alla loro inservibilità; le selezioni attente, i cauti rifiuti; le dolorose cancellature, le interpolazioni. In una parola, le ruote e gli ingranaggi; i macchinari per i cambiamenti di scena; le scale a pioli, le botole; le penne del pavone, il cerone rosso e i neri nei che novantanove volte su cento costituiscono il bagaglio dell’histrio letterario.continua a leggere