La parabola parla di un uomo che parte per un viaggio ed affida i suoi beni ai suoi servi. Ad un servo affida cinque talenti, ad un secondo due talenti e ad un terzo un talento. I primi due, sfruttando la somma ricevuta, riescono a raddoppiarne l'importo; il terzo invece va a nascondere il talento ricevuto.
Quando il padrone ritorna apprezza l'operato dei primi due servi; invece condanna il comportamento dell'ultimo.
Del testo originale, però, voglio riportare la conclusione:
Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato e sovrabbonderà, ma a chi non ha gli sarà tolto anche quello che ha. E gettate questo servo inutile nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti.
In tutta onestà non ricordavo l'asprezza del testo, ma di esso ho sempre portato con me l'idea di un obbligo a mettere a frutto le capacità di cui ciascuno di noi dispone. Non un invito, non una possibilità, ma un vero e proprio obbligo naturale a trarre il meglio da ciò che abbiamo a disposizione.
Con questo obbligo, ho portato e porto con me un senso di colpa per ciò che non ho fatto, per tutti i giorni in cui ho dimenticato chi sono.
Nessun commento:
Posta un commento